Delirium

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Non avere paura della zia Marta

Recensione: Girolamo Ferlito
 
Titolo originale: Non avere paura della zia Marta
Lingua originale: Italiano
Anno: 1988
Durata: 88 minuti
Regia: Mario Bianchi
Soggetto: Mario Bianchi
Protagonisti principali: Gabriele Tinti (Richard Hamilton), Adriana Russo (Nora Hamilton), Jessica Moore (Georgia Hamilton), Edoardo Massimi (Maurice Hamilton), Massimiliano Massimi (il piccolo degli Hamilton), Anna Maria Placido (Madre di Richard), Maurice Poli (Il custode), Sacha Darwin (Zia Marta)
Colonna sonora

voto_mymovies 4 voto_delirium 6 voto_imdb 5,5

E’ un Film per la TV girato nel 1988 da Mario Bianchi, il primo della raccolta, poi destinata al mercato dell’home-video, nota col nome di “Lucio Fulci presenta…”. La serie, che è uscita solo nella seconda metà degli anni ’90, è composta da 8 pellicole, oltre a questa troviamo: Quando Alice ruppe lo specchio, Il fantasma di Sodoma (le quali risultano in verità le uniche due pellicole girate effettivamente dal Maestro romano), Le porte dell’inferno (Lenzi), Bloody Psycho (Lucchetti), Massacre (A. Bianchi), Luna di sangue (Milioni) e Hansel e Gretel (Simonelli). Bianchi dirige questa pellicola utilizzando lo pseudonimo di Robert Martin, anche se ritroviamo il suo vero nome nei crediti sia come soggettista che sceneggiatore. Noto all’ambiente cinematografico con svariati pseudonimi (Bird, Moore, White, Cools, Yanker), Bianchi, dopo un esordio nel western anni ’70 e qualche pellicola sul melodramma napoletano, si butta a capofitto nell’erotismo per poi consacrarsi, a partire proprio dagli anni ’80, con l’industria del porno; in effetti questa risulta essere l’unica pellicola di genere horror scritta e diretta personalmente. L’intera collana soffre di un budget fortemente ridotto, di un progetto approssimativo e forzato a causa del format televisivo e di un intero cast di dilettanti allo sbaraglio neanche fossimo alla Corrida.

Eppure le premesse per un prodotto nel complesso fedele al trash di fine anni ’80, certamente non eccelso ma discreto, c’erano tutte. Richard  Hamilton (Gabriele Tinti), si trasferisce con la famiglia in una villa di campagna dove l’uomo ha trascorso l’infanzia. Ad aspettarli dovrebbe esserci la zia Marta (Sacha Darwin), sorella della madre, appena dimessa dall’ospedale psichiatrico dove ha trascorso gli ultimi trent’anni. Durante il tragitto in auto a Richard cominciano a tornare in mente ricordi confusi di quando era ancora un ragazzino e dei tragici avvenimenti che costrinsero sua madre a rinchiudere zia Marta in manicomio. L’uomo nasconde un terribile segreto, una confidenza fattagli dalla madre prima che questa, in preda al tormento, si togliesse la vita gettandosi dalla finestra di casa. Richard appare distratto, perso nei ricordi e parecchio turbato proprio perché quando era piccolo parlare della zia Marta rappresentava una sorta di tabù. E’ convinto che solo rivedendola, ormai rinsavita, i tormenti e le preoccupazioni che oggi gli offuscano la mente potranno svanire. Non avere paura della zia Marta è sottotitolato dalla distribuzione italiana “The broken mirror”, lo specchio rotto, probabilmente a simboleggiare la follia del personaggio su cui ruota la storia ma è anche noto come “The Murder secret”, titolo decisamente meno “onirico” dell’originale.

E’ un horror che gioca molto sulle paure infantili, sui drammi familiari vissuti come una sorta di leggenda metropolitana ed è fedele alla tradizione del tempo, rimanendo per alcune scene nell’immaginario collettivo.  Una pellicola che caldeggia quasi nella totalità il ritmo di un thriller psicologico, travestito da “slasher“, senza disdegnare il tipico gore all’italiana, per poi evolvere verso un finale inatteso e ineluttabile. Seppur non originale è interessante la trovata del compositore Gianni Sposito che per creare il tema principale del film gioca sul motivetto di “Fra Martino campanaro” vissuto in chiave horror. Sorvolando sulle performance del cast e sugli effetti alquanto “posticci” che comunque trovano un’interessante collocazione, la storia si regge abbastanza bene seppur mostra sensibili vuoti narrativi ed è discontinua, lasciando lo spettatore con l’amaro in bocca su alcune circostanze irrisolte. Insieme al lavoro di Umberto Lenzi è sicuramente il miglior film dell’intera raccolta (ahimè decisamente scarsa), considerando che si trattava pur sempre di un prodotto per la TV realizzato con pochissimi mezzi.

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